“Mille … o non più Mille?”

Lo sbarco dei Mille 

La Delegazione Vicaria per la città di Roma del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, guidata dal Marchese Giorgio Mirti della Valle, e il Centro Alti Sudi della Difesa, comandato dall’Ammiraglio di Squadra Rinaldo Veri, hanno organizzato, il 23 aprile 2014,  un’interessante giornata di studi a palazzo Salviati in Roma. L’argomento, “la Marina del Regno delle Due Sicilie”.

Fra gli spunti – tutti di notevole interesse – mi ha colpito particolarmente quello dell’addetto stampa della Marina Militare di Napoli Claudio Romano, che si sofferma in particolare sui segni premonitori e sulle cause che portarono alla caduta del Regno Duo Siciliano.

Il primo quesito che Romano espone alla prestigiosa platea verte su “quale interesse avesse il Regno di Sardegna per occupare e annettersi il Regno delle Due Sicilie?”.

Nel 1858 Francesco II di Borbone concesse a Vittorio Emanuele II di Savoia un prestito di cinquemilioni di ducati che, in virtù del rapporto di cambio fra il ducato napoletano e la lira piemontese di uno a quattro, porterebbero l’ammontare del debito in venti milioni di lire: la somma che serviva al Re di Sardegna per pagarsi le spese che stava sostenendo per la guerra contro l’Austria. Il prestito fu garantito da cambiali con scadenza al 1862. Il monarca sabaudo sperava di vincere la guerra e farsi rimborsare dagli austriaci la somma per danni di guerra, ma le cose andarono diversamente.

Un altro quesito si pone Claudio Romano: “vi furono segnali premonitori delle intenzioni garibaldine, circa la conquista del Regno delle Due Sicilie?”.

Gli informatori borbonici a Torino fecero pervenire a Francesco II un documento nel quale si dichiarava apertamente che Garibaldi, Bixio, Beltrami e altri stavano raccogliendo fondi necessari all’acquisto di armi e all’organizzazione di una spedizione che, sbarcando in Calabria o Sicilia, avrebbero sollevato le popolazioni contro i Borbone al fine di consentire la caduta del Regno. A tal uopo stavano arruolando uomini disposti a partecipare all’azione militare.

Francesco II, da quel galantuomo che era, scrisse a Vittorio Emanuele II chiedendogli ragioni; dal canto suo il Re di Sardegna – sottolinea Claudio Romano – gli rispose rassicurando il “caro cugino” che se avesse avuto notizie di un siffatto atto criminoso ne avrebbe fatto arrestare gli organizzatori. Nel febbraio del 1860 Francesco II ricevé un nuovo rapporto dai suoi informatori, che lo avvertivano che l’organizzazione proseguiva nel suo intento criminoso.

Il terzo quesito: “cosa fu fatto per impedire l’azione garibaldina?”.

Il Romano prosegue dicendo che Francesco II decise di mettere in atto un pattugliamento intorno alle coste siciliane per impedire lo sbarco dei “filibustieri”: questo era il termine con cui i borbonici definivano i garibaldini. I mari circostanti l’isola furono divisi in tredici settori e ciascun settore fu affidato al pattugliamento di almeno due navi fra militari e mercantili militarizzati. L’ordine dato alle unità impegnate nella crociera di vigilanza non dovevano assolutamente fermare navi straniere che si stessero avvicinando alle coste del Regno e furono autorizzati ad aprire il fuoco solo ed unicamente nel caso in cui da navi straniere stesse sbarcando gente armata. I Borbone – spiega Romano – volevano impaurire i garibaldini sperando che la presenza di un cospicuo naviglio di vigilanza li inducesse a desistere dal loro intento. La vigilanza inoltre comportava alcuni complessi aspetti tecnici: il pattugliamento si svolgeva solo di giorno; il Re, inoltre, lo aveva stabilito solo su rotte costiere in modo da scorgere se e dove si stesse effettuando lo sbarco e, data la costa frastagliata, il seguirne l’andamento richiedeva tempo ed una mancanza di visione allargata del perimetro. Inoltre, l’essere le navi sia a vapore che a vela comportava problematiche diverse dal punto di vista anche tattico, come la possibile mancanza di vento, e l’esigenza di rifornire di carbone le unità a vapore costrette pertanto a rientrare in porto per il rifornimento.

Quarto quesito: “Garibaldi parti da Genova e con quante navi?”.

Già nei primi giorni del mese di maggio del 1860 giunsero a Napoli rapporti dei servizi segreti borbonici che informavano Francesco II dei preparativi della spedizione da parte dei garibaldini. Il Re fu messo al corrente che oltre al Lombardo e al Piemonte la spedizione avrebbe utilizzato un mercantile battente bandiera Britannica sul quale sarebbero state caricate le armi necessarie. Escamotage di Garibaldi, quest’ultimo, che temeva di trovare navi della Real Marina fuori il porto di Genova che avrebbero stroncato sul nascere l’iniziativa. Garibaldi non si imbarcò a Genova temendo di essere riconosciuto, e preferì unirsi quindi al convoglio al porto di Talamone, dove le navi si dovevano fermare per il necessario rifornimento di carbone: anche questo anomalo spostamento di Garibaldi fu comunicato dai servizi segreti borbonici. Garibaldi, temendo di essere intercettato dopo la partenza, decise di fare trasbordare le armi e le munizioni su di un barcone da trainarsi al rimorchio, di modo che in caso di intercettamento il barcone avrebbe potuto essere facilmente abbandonato. Va detto che i servizi di intelligence informarono costantemente di tutti i movimenti del convoglio, dando il numero esatto di uomini, quantità di armi e munizioni.

Dipinto che raffigura lo sbarco dei Mille a Palmi, il 22 agosto 1860

Il viaggio di avvicinamento alla Sicilia fu fatto dalle tre navi osservando una rotta molto larga. È da chiarire che nel XIX secolo uno sbarco di uomini da una nave doveva essere necessariamente effettuato o su di un tratto sabbioso o in un porto; diversamente andava effettuato al largo, ma si sarebbero dovute avere una quantità enorme di scialuppe a disposizione; si rendeva quindi necessario lo sbarco in un porto, e venne scelto il porto di Marsala perché, anche se piccolo,  avrebbe potuto facilmente ospitare le due navi passeggeri garibaldine; ma come poteva essere certo Garibaldi che non avrebbe trovato il porto occupato per lo sbarco? Di certo si sa che due navi inglesi salparono il 10 maggio dal porto di Palermo per andare ad attraccare al porto di Marsala; ed  anche questo trasferimento – conclude Claudio Romano – era stato segnalato prontamente a Francesco II. Intanto il convoglio dei garibaldini in avvicinamento al porto di Marsala fu intercettato da due navi da guerra napoletane al comando del Capitano di Fregata Don Carlo Acton, il quale si avvicinò alle due garibaldine. Non si sa cosa si dissero, ma qualche ora dopo le navi borboniche lasciarono il convoglio per proseguire il loro pattugliamento. Per questo comportamento Acton fu processato, ma subito prosciolto e reintegrato nel grado e nelle funzioni: c’è da supporre, quindi, che l’Ufficiale avesse applicato quanto disposto dal Sovrano.

Ritornando ora alle due navi garibaldine, queste attraccarono nel porto di Marsala accanto a quelle inglesi. Quando le navi di Acton, ritornando dall’ispezione, si accorsero dello sbarco, intimarono alle navi inglesi di uscire dal porto per evitare di essere colpite da un eventuale cannoneggiamento,  ma si sentirono rispondere che necessitavano almeno due ore per attendere gli uomini che erano a terra. In questo frangente i garibaldini ebbero modo di sbarcare tutti.

Cosa fu fatto, quindi, per contrastare lo sbarco garibaldino?

Il Principe di Castecicala, luogotenente del re, organizzò un piano concordato con Francesco II per l’invio di tre battaglioni di soldati, di cui uno via terra proveniente da Palermo, e due che via mare raggiungevano i porti di Trapani e di Marsala: così facendo, avrebbero accerchiato i garibaldini. Una serie di vicissitudini, però, fecero in modo che mancò l’ “azione sorpresa”, per cui i tre battaglioni non si trovarono insieme a muovere l’attacco, e quindi singolarmente furono respinti.

Sesto quesito: se i Mille erano veramente mille, come potevano, da soli, sconfiggere i trentamila soldati borbonici presenti in Sicilia? Semplice: i “Mille” non erano mille! Questo sostiene Claudio Romano. Infatti, a partire dal giorno successivo allo sbarco di Marsala, giunsero nel porto Siciliano altri vapori con a bordo uomini ed armi – così prosegue Claudio Romano – con a bordo uomini, armi, soldi e viveri, per rinforzare ciò che in realtà era solo una testa di ponte. Ritornando indietro un attimo, troviamo che a partire dal 7 maggio furono segnalate a Francesco II partenze giornaliere dai porti di Genova, La Spezia, Livorno, Talamone, Cagliari, verso la Sicilia: dall’analisi di questi rapporti è stato possibile calcolare che sbarcarono in Sicilia, nei tre mesi successivi all’ 11 maggio 1860, circa ottantamila “garibaldini”. L’intelligence borbonica comunicò nei vari rapporti che si susseguirono che gli ottantamila “garibaldini” non erano volontari, bensì soldati della seconda guerra di indipendenza, che i piemontesi avevano combattuto invano contro gli austriaci, che erano stati congedati. Di ideali politici ve ne furono pochi se non quelli del contingente dei Mille, mentre gli altri erano tutti al soldo e disposti a combattere per il soldo; i piemontesi ne trovarono moltissimi in quanto tutta l’area nord si dibatteva in una crisi profonda di tipo economico-strutturale.

Settimo quesito: “il 14 febbraio 1861 scompare la Marina Borbonica?”.

No; almeno fino al 9 marzo 1870 la Marina borbonica ha effettivamente continuato ad esistere con navi, uomini e vertici.

A proposito, infine, dei cinque milioni di ducati (venti milioni di lire) che il Re di Sardegna doveva a Francesco II, va detto che quando gli emissari di Francesco II presentarono ai Savoia, nel dicembre del 1862, le cambiali sottoscritte nel 1858 da Vittorio Emanuele e arrivate dunque alla scadenza fissata, gli fu risposto che “quel credito non si trovava a carico di quello Stato che ormai non esisteva più”.

Pierluigi Sanfelice di Bagnoli

liberamente tratto dall’articolo di Claudio Romano